Il contribuente perde il beneficio “prima casa” nonostante abbia chiesto tempestivamente il cambio di residenza ma la abbia ottenuta dopo oltre un anno dalla dichiarazione contenuta nell’atto di acquisto; ciò, anche se ha più volte chiesto al Comune il cambio di residenza. È quanto specifica la Corte di Cassazione con la sentenza del 17 gennaio 2018, n. 971.

Nel caso in esame, l’Agenzia delle Entrate ricorreva avverso un contribuente che aveva ottenuto ragione in sede di appello; la causa verteva sulla revoca del beneficio prima casa in relazione all’acquisto di un’abitazione: il contribuente non aveva portato la propria residenza entro i 18 mesi dall’acquisto nel Comune ove era situato l’immobile. L’uomo aveva più volte inoltrato domanda al Comune per il trasferimento della residenza, ma l’aveva ottenuta quando ormai era troppo tardi. Le prove portate dall’uomo, quali le bollette a lui intestate e la richiesta di iscrizione nella nuova anagrafe, avevano convito la CTR della bontà delle sue argomentazioni.

Non così per la Suprema Corte, la quale ha osservato che «nessuna rilevanza giuridica può rivestire l’eventuale conseguimento della residenza in data successiva al termine fissato o il mancato accoglimento da parte del Comune di una domanda di trasferimento della residenza anteriormente formulata dall’interessato, in assenza dell’accertamento di vizi inficianti il provvedimento che respinga tale richiesta o attinenti al procedimento che lo origina, essendo necessaria, ai fini predetti, l’esatta identificazione della decorrenza degli effetti dell’iscrizione anagrafica». Insomma: ciò che veramente conta non è il momento conclusivo del processo di trasferimento della residenza, ma quello della domanda con il quale il contribuente aveva manifestato l’intenzione di ottenere la nuova residenza.

Per di più, l’ottenimento tardivo della residenza è un dato oggettivo che non può essere superato asserendo di aver più volte fatto domanda presso il Comune: infatti, il contribuente non aveva a suo tempo impugnato il diniego dell’ente comunale; l’assenza di un accertamento dell’esistenza di “vizi inficianti” nelle domande presentate dal contribuente, in definitiva, è stato il motivo per cui la Suprema Corte ha accolto il ricorso delle Entrate.

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